Missione senza fine

I

Da consumato maestro dell’illusione sinapsi dopo sinapsi il sarto tempo sta restringendo le mappe neurali di Athos Trefonti. Lo troviamo disteso sul divano bianco al centro del suo attico, bunker dal quale combatte per la giustizia planetaria. La consuetudine lo ha obbligato a trascorrere la notte fissando lo schermo del computer per fronteggiare Glo Balle.  Una lotta quasi senza soluzione di continuità oramai da sette lunghi mesi, o quasi.

È parere di molti che la vita gli ha dato tutto. Tra le innumerevoli porte aperte a tutto spiano lui ha scelto di varcare la soglia dell’inferno del dualismo con Glo Balle. Gran fabbricante di menzogne alle quali la maggioranza crede perché vidimate dalla sua funzione. È il Presidente di Democrazia, superpotenza mondiale per eccellenza. Dicendo del benessere nazionale lo intende come proprio. È convinto di essere il più grande benefattore di Democrazia perché pensa di essere la patria stessa. Convincersi di questo gli è costato il tempo e il degrado interiore necessario perché le menzogne precedenti potessero far passare le successive come verità. Oltre a dichiararsi figlio di madre patria si presenta come padre di Democrazia. Sommando il tutto ne viene fuori che è padre e figlio di sé stesso-a madre. Bizzarro albero genealogico. Dal punto di vista ufficiale non è così, ma psicologicamente non può non trattarsi di sofisticato incesto.  

Aveva avuto una possibilità di superare tale autoincanto, in tempi lontani gli si era offerta una potenziale fessura via di fuga dal fuggire da sé stesso. Per un breve periodo non era stato del tutto convinto del raggiro che tanto maestrevolmente attuava. Seppur (o proprio per questo) incanalata sulla via di un dello spegnimento la sua coscienza aveva spasmodicamente combattuto per aggiuntive dosi di ossigeno. Gli ultimi guizzi. Poi, spronato dal bisogno di eliminare i propri e altrui dubbi sulla propria integrità̀ di benefattore, potenziò il piazzamento unidirezionale a trecentosessanta gradi di idee sul bene supremo della nazione coerenti con il suo bene, o presunto tale: scavarsi la fossa da soli è questione di stupidità non scorta grazie alla cecità esistenziale. Convincendo altri persuase sé stesso e viceversa. Riempi così anche lo slot destinato al salvatore della patria. Le fasi di apnea della sua coscienza aumentarono fino alla sua estinzione. Erano stati tempi di grandi promesse destinata ad ammaliare senza possibilità di essere mantenute. Un sistema semplice ed efficace per poter portare a termine la metamorfosi necrotica della coscienza in qualcosa di simile ad un iceberg al centro dello sterile deserto della disumanizzazione. La tumulazione ultima dell’anima.

Per presentare meglio la gravità del peggio in questione dobbiamo scrivere che prima dell’ardito scatto finale della sua coscienza nel campo di transtenebrazione, il Presidente portò a termine una magistrale mossa economica. Irrealizzabile per un comune mortale e facilmente attuabile per chi dispone del potere necessario.  Si dice che il potere logora, probabilmente vale per chi non ne ha abbastanza. Non è il caso del Presidente.  Soprattutto dopo essersi riservato il ruolo di protagonista nella privatizzazione della Banca Nazionale di Democrazia, condividendo l’affare con i soliti otto soci, confraternita di faccendieri che d’ora in poi chiameremo i Nebbiosi 9, i Tetri 9 oppure i Grigi 9, ma anche diversamente, forse. Visto che, elevandosi a ruolo di Dio inteso come concetto, tendono ad uniformare con regole loro i flussi vitali dell’umanità per diventare geometri perfetti quadranti il cerchio, potremmo definirli anche Sistematizzatori. Non lo faremo.

Si può ben capire perché cumuli neri di impura disperazione stanno bombardano Athos.  La situazione gli sembra mortalmente seria. Non pare esserci scampo dal circolo incantato di ruberia legalizzata sul quale sta indagando. La banda del Presidente pare invincibile e lui sembra destinato a chinare la testa. Definitivamente. Ma…

Va pensiero sull’ali dorate va ti posa sui clivi sui colli

ove olezzano tepide e molli l’aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate.

…tutt’a un tratto l’atmosfera cambia in modo radicale. Lo spazio vitale di Athos viene armonizzato dalle note del Nabucco.

– Lo stereo del vicino alle cinque di notte? Non può essere. – pensa e ha ragione. Il suono non proviene né dal vicinato in orizzontale né da quello in verticale. La fonte è una busta. Sì, avete letto bene: proprio una busta. Fluttua appena sotto al soffitto. È di color argento e grande più meno che più come il prima citato monitor palcoscenico di tanti combattimenti. Il giovane si strofina gli occhi, ma poco cambia. La busta è ancora là. Vortica seguendo il ritmo dell’opera.  La psiche di Athos è pervasa da preoccupazione e speranza: – Spero proprio sia soltanto un sogno. Non sarò mica impazzito? – pensa prima di voltarsi verso il monitor: – Tutta colpa tua se sono impazzito.

L’accompagnamento musicale scema fino a cedere il testimone a una voce sconosciuta: – Facile incolpare altri.

Athos volta la testa verso la TV. È spenta. Le finestre ad alto isolamento sono chiuse. L’impianto stereo è inattivo. Il computer anche. Nelle vicinanze non ci sono altre fonti sonore attive ufficiali. L’atmosfera è a dir poco magica.  

– Che sta succedendo? – si chiede, ma non è tempo di riflessioni. La busta volge in picchiata e proprio verso il suo naso. Lo colpisce senza un minimo di graziosità. Rimbalza sul naso e cade a terra. – Troppo doloroso per essere un semplice sogno. Sto allucinando.

– Ininterrottamente. – è la stessa voce di poco prima.

Athos si tasta viso, orecchie, mani, gambe, il corpo intero. Tutto sembra veramente reale, molto concreto e davvero palpabile. Ancora disteso con la mano destra recupera la busta caduta accanto al divano. Anche lei supera la verifica di tangibilità. Sembra essere vera per davvero, come le dita, come il viso, come le orecchie, come le mani, come il divano, come le gambe, come il corpo. 

–  Sta accadendo per davvero? – si chiede.

– Sconfinati possono sembrare i contorni dell’immaginazione. –

Athos si copre ben bene le orecchie con le mani, ma la voce è ancora qua. – L’allucinazione esistenziale è lo stato ordinario di quasi tutti.

            Nella speranza di far tornare la ragione Athos fa un giro su se stesso in orizzontale, cioè disteso sul divano. Poi, appoggia la busta sul petto. – Mi sembra, mi sembra… – dice, senza riuscire a terminare la frase, interrotto dalla voce:

  •  A te tutto soltanto sembra.

La busta inizia a vorticare. Si eleva fino a essere mezzo metro circa distante dagli occhi del giovane.

Chi sei?

È la scritta blu che compare sulla busta.

– E tu? –

Io.

La parola non parla.

La voce non dice.

La mano non scrive.

Ogni lettera ha un mittente.

La busta s si dissolve.

Per fortuna è stato solo un sogno. – pensa Athos. All’appello manca però un fotogramma. Non si ricorda dell’attimo quando ha aperto gli occhi. – Da quando sono sveglio? Lo sono veramente? –

II

Sono passati dieci giorni dal presentarsi della busta d’argento e le vibrazioni dell’evento non si sono ancora quietate nella mente di Athos. Lui si è convinto che si è trattato di un sogno, anche perché da allora non è stato più preda né di allucinazioni né di sogni psichedelici. Perlomeno così ritiene.

Dieci giorni durante i quali ha avuto occasione di convincersi ancora di più del pericolo gravante sull’umanità sempre più intrappolata dai tentacoli di Glo Balle & Cattiva Compagnia.

Sta aspettando un messaggio da Silicio suo fedele aiutante nella lotta contro i potenti del mondo. Lo schermo del computer accoglie un messaggio:

Chiudere gli occhi: popolare unguento per lenire il dolore causato da momenti di risveglio.

Più facile ungersi, affinché occhi non vedano più, che accettare la sfida di vedere le verità.

Indolore velocità del ritorno nel sogno nutrito dall’illusione del falso vivere:

meno doloroso del riconoscere di aver per anni vissuto nelle tenebre,

creduto ai propri e altrui abbagli,

mentito a sé stessi e altri.

L’ignoranza non è una scusante,

anzi.

  • Cos’è successo a Silicio? Fino a ieri mi spediva precise informazioni sui piani dei Lugubri 9. Ora invece… Cosa significa questo messaggio? È proprio di Silicio? Un modo di comunicare in codice?, si chiede Athos e le sorprese non sono finite…

…da sotto il divano si sta diffondendo un’intensa luce fluorescente color fucsia. È tornata! La fantasmagorica performance della busta color argento è di nuovo in cattedra. Si sta avvicinando ad Athos. Autorevolmente come una vera e propria primadonna. Si ferma dinanzi agli occhi spalancati dell’osservatore nemmeno troppo sconcertato. Balla divinamente. Lei, non lui. A ritmo di samba e senza nemmeno sottofondo musicale. Sfiora più volte il già personalmente sperimentato naso di Athos. Poi, soltanto qualche secondo più in là si delimita entro i bordi del monitor, diventando essa stessa originale display sul quale compare un testo:

Vedo che non hai fatto progressi nella tua missione.

  • Eh già, Glo Balle & Brutta Compagnia sono invincibili. – risponde Athos, nemmeno troppo stupito di star colloquiando con il monitor-busta, o se preferite: con la busta-monitor.

Mi riferivo alla tua vera missione,

non alla lotta con i Nove.

Lasciali stare.

Perché vivi la loro bassa vita

invece di elevare la tua?

Giocando la loro partita, perdi te stesso.

– La mia vera missione?

Eternità.

Dona il massimo significato alla vita che sei. 

III

Il tempo scorre. Il mondo cambia. E non potrebbe essere altrimenti.  Come sempre, le bellezze e armonie della vita offrono il loro messaggio di libertà, ma Athos è sempre incatenato a tastiera, schermo e mouse, intento a indebolire Grigi 9. E Silicio non c’è. – Dove è? L’hanno rapito? Assassinato? Lo stanno torturando?”-  sono parte dei contenuti mentali inquinanti la sua psiche.

Sullo schermo compare un messaggio di fattura simile a quello ricevuto tre giorni fa.

Perennemente ignaro del Vero vige il transitorio pantano delle menzogne,

la mente non illuminata dal Superiore.

“Di chi sono questi messaggi? Si ripresenterà anche la busta?””

– Ciao Atos. – il vibrare delle casse del computer stimola il costituirsi di una voce nell’apparato uditivo del nostro uditore.

– Chi sei?

  • Di certo non la voce che stai sentendo. E tu chi sei?

– Athos.

Sul monitor compare l’immagine di Silicio.

  • Finalmente. Sono giorni che non ti fai vivo. Dove eri finito? Questa è la tua nuova voce?
  • Se tu sei Athos allora io sono Silicio. – Silicio dribbla il superfluo per andare direttamente al punto.
  • Cosa significa: Se tu sei Athos allora io sono Silicio?
  • Tu non sei Silicio.
  • Infatti, sono Athos.

– No.

– E chi sono secondo te?

– Non secondo me.

  • Secondo chi allora?
  • Chiedilo a Te Stesso. Posso suggerirtelo, ma soltanto tu puoi risponderti.
  • Ti hanno fatto il lavaggio del cervello?
  • Alcuni giorni fa mentre Silicio si trovava davanti alla Piramide di Vetro, che come ben sai è la sede non ufficiale dei Tetri 9, gli è accaduto qualcosa di straordinario.

– Parli di Silicio come di qualcuno che tu non sei.

– Infatti, non sono Silicio. Solo mi manifesto come Silicio. Dopo decine di volte che era stato là davanti a cercare di intravedere cosa si cela dietro alla facciata di vetro riflettente della Piramide, Silicio ha visto per la prima volta riflesso il proprio volto e compreso che quel volto è solo il minimo riflesso del Vero Volto. Da allora Silicio non è più un burattino.

  • Così tu non saresti più Silicio e io non sarei Athos.

–  Io non sono mai stato Silicio, Silicio era il nome affibbiato a un mio esprimermi. Athos è il nome con cui ti chiamano. Nome pratico per l’identificazione terrestre, ma fuorviante se ti fermi ad esso.  Pensi di essere veramente Athos il malestante figlio ventiquattrenne di un benestante imprenditore romano? Il veicolo non è il veicolato. L’auto non è l’autista. 

– Da dove spunta fuori quest’opzione metafisica? È un virus? – si chiede Athos, poi dice: – Sto forse sognando?  

–Stai sicuramente sognando di essere sveglio. Supera lo schema invalso del videogioco. Non proiettare su di me le idee che avevi di Silicio. Le scelte di questa figura non dipendono più dal software, che è usato per costituire la figura stessa.

  • Ma dai, sei soltanto un personaggio del videogioco. –
  • Tu non sei consapevole di essere un personaggio di un videogioco apparentemente infinito, anche perché lo schermo tridimensionale sul quale si proietta e nel quale ora appare anche l’immagine schermo con l’immagine Silicio sembra perfettamente reale. Tu hai due grandi problemi.

– Cioè?

– Primo, ti sei talmente identificato con la figura del salvatore dell’umanità da credere per davvero nella tangibilità degli accadimenti del videogioco del quale anche Silicio era inconsapevole pedina. Secondo, credi che lo schermo sul quale percepisci il mondo, la sedia sulla quale immagini di essere seduto, rappresenti la realtà.

–Tu non sei messo meglio- Sei prigioniero dello schermo del computer. – ribatte Athos, abbastanza indispettito da quel che ha appena sentito. Guai a toccare l’immagine immaginata che uno ha di sé, ovvero di ciò che immagina essere sé.

  • Ciò che hai detto è una proiezione del tuo stato interiore. Io mi sono svegliato e sono libero. Solo che da addormentato non puoi scorgere la Destezza.

– Allora esci dallo schermo.

  • Prova tu a far uscire l’immagine corpo fisico dallo schermo tridimensionale nel quale la sperimenti. Tu non sei quel che immagini di essere. Io non sono la figura che tu chiami Silicio. Ogni immagine è un insieme di pixel.

– Lascia stare questi discorsi. Devo assolutamente fermare i 9 Nebbiosi.

– Ancora?

– Come ancora? Hai dimenticato le lotte fatte assieme? Tu ed io. Uno a fianco all’altro.

– È semplice fermarli.

– E solo adesso me lo dici? Dopo tutte queste notti passate a vegliare sui destini del mondo, dopo tutto questo stress, dopo tutte queste delusioni, mi vieni a dire tutto tranquillo: è semplice fermarli.

– Da addormentato Silicio non poteva sapere. Sino all’attimo del Risveglio si costituiva sullo schermo come da software, come parte passiva della scenografia. Ora invece conosce i trucchi del videogioco.

  • Ma tu sei Silicio o no? Prima mi hai parlato come se tu fossi Silicio.
  • Silicio è una mia espressione e grazie all’integrazione avvenuta possono formarsi considerazioni come queste: Utilizzo la parte del software che definisce la mia figura per costituirmi sullo schermo, ma il mio comportamento è libero. Non sono più appeso ai fili come una marionetta. So di non essere l’immagine che compare sullo schermo. Costituisco la mia immagine sullo schermo affinché tu riconosca questa immagine.
  • Sto solo sognando e tu fai parte del mio sogno.
  • Sì, stai sognando con le palpebre alzate.  Ascoltami bene. Le tue intenzioni sono nobili, ma il tuo approccio non aiuta a risolvere i problemi del mondo. Essendo tu preda della tua confusione, cioè essendo la confusione che sei, quasi ogni tua azione favorisce la differenziazione del caos. In te e fuori di te. Sei immune da chiarezza e concretezza. Il problema maggiore dell’umanità è dato dal fatto che gli uomini non conoscono Sé Stessi. Il modo migliore in cui puoi aiutarli è Scoprire Chi Sei. Conosci Te Stesso e potrai migliorare il mondo. Tu credi di essere un combattente per la pace. Invece sei schiavo di conflitti interiori ed esteriori. Le guerre esteriori sono proiezioni di quelle interiori. Cosa stai proiettando in questo momento? Cosa proiettavi ieri? E ieri altro ancora?

– Basta con queste astrazioni. Passiamo a cose concrete.

– Allora premi Shift più F9.

  • Shift più F9?
  • Sì, non vuoi fermare i Nove?
  • Altroché.
  • Allora Shift più F9.
  • Athos segue le istruzioni. Accanto all’immagine di Silicio appare la domanda: Cosa vuoi fare?

– Digita: Amare. – dice Silicio

– Amare?

  • A maiuscola. 

  • Così semplice? Tu dici che Amare è la Soluzione?
  • L’Amore è la Medicina Infinita che cura tutti i mali.
  • Quindi basta digitare: Amare?
  • In questo videogioco sì. Nella vita invece le cose si risolvono Amando. Per fermare esteriormente i Grigi 9 devi arrestare interiormente i flussi dell’inconsapevolezza.

Athos digita:  A-m-a-r-e.

  • Ora cambia la velocità dello scorrere del tempo del videogioco. Mettila al massimo affinché il tempo duri il meno possibile.
  • Affinché il tempo duri il meno possibile?
  • Shift più F7.
  • Athos segue il consiglio. Vicino all’immagine di Silicio (o semplicemente: immagine Silicio) appare una sfera accanto a un cubo.
  • Usa il mouse per spostare la sfera nel cubo. –
  • Subito. –

La sfera entra nel cubo che scompare per far posto agli eventi del videogioco. Sparisce anche l’immagine di Silicio. Gli avvenimenti sullo schermo stanno effettuandosi ventimila volte più velocemente. In un minuto accadono più di ottanta giorni. Potrebbero accadere molto più velocemente, quasi prossimi alla simultaneità, ma la tecnologia del PC non lo permette ancora.

L’andamento del videogioco è cambiato radicalmente. Le guerre stanno cessando. Il livello di salute globale aumentando. È in atto una pandemia di felicità. L’umanità è sempre meno manipolata dai mass media. Le foreste stanno aiutando Madre Terra a respirare sempre meglio…

  • Peccato sia solo un videogioco. Voglio dire: si può fare lo stesso nella vita reale? – si chiede Athos.

Le casse del computer iniziano a diffondere il messaggio di Battiato. 

Degna è la vita di colui che è sveglio
Ma ancor di più di chi diventa saggio
E alla Sua gioia poi si ricongiunge
Sia Lode, Lode all’Inviolato.

E quanti personaggi inutili ho indossato
Io e la mia persona quanti ne ha subiti
Arido è l’inferno
Sterile la sua via.

Una busta d’argento occupa tutti i pixel dello schermo del computer. Ne esce una lettera bianca, con una scritta color oro.

Conosciti per Amare.

Che sia gusto di Infinito.

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Per poter Vedere la Vita dobbiamo uscire dal nostro film, altrimenti siamo destinati a essere un cinema multisala.

Ciò che percepiamo come esterno, fa parte della nostra percezione, che non può essere esterna a noi stessi. Il termine: evento esteriore, è un concetto per definire esperienze, chiaramente interiori, generate attraverso la partecipazione dei cinque organi di senso fisici.

         La percezione è interiore, ma risulta dall’incontro dell’interiore con l’esteriore: attraverso la percezione gli altri ci vengono così incontro, proiettandosi. In un certo modo, li incontriamo in noi stessi: accogliamoli bene, illuminando, non proiettando. La percezione è anche incontro della luce che proiettiamo, con la luce che ci viene incontro. Accogliere veramente significa illuminare, mentre proiettare è filtrare, censurare, deviare. Illuminare significa anche accogliere nitidamente immagini. Proiettare, invece, significa coprire l’altro con i nostri fotogrammi, basati su impressioni accumulate precedentemente. Le proiezioni impediscono di sperimentare e interpretare giustamente: non possiamo essere giusti verso altri senza essere noi stessi giusta misura giustamente misurante. Per poter Vedere la Vita dobbiamo uscire dal nostro film, altrimenti siamo destinati a essere un cinema multisala.

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Farsi del bene (cioè umanizzarsi) è il massimo beneficio possibile che possiamo donarci, anche perché implica automaticamente beneficio umanizzante per altri.

Le virtù escludono il tornaconto egoistico, ma chi tende qualitativamente a essere virtuoso, favorisce eccome il proprio tornaconto. Tendere qualitativamente a essere virtuosi fa tornare i conti, perché è un farsi del bene. Farsi del bene (cioè umanizzarsi) è il massimo beneficio possibile che possiamo donarci, anche perché implica automaticamente beneficio umanizzante per altri. Responsabilizzarsi è il modo diretto per aiutare veramente altri: aiutare gli altri a soddisfare i loro vizi e a coprire la loro lacune è solo apparente aiutare. I vizi degradano, le virtù edificano. Più l’azione è virtuosa, anche nel senso di libera dal tornaconto egoistico, maggiore è il tornaconto umanizzante. Più precisamente, più facciamo del bene senza pensare al tornaconto personale, più la nostra azione influisce automaticamente in modo positivo sulla nostra umanizzazione; più tornano i conti per ciò che concerne lo scopo fondamentale della vita. – i testi che pubblico sono (in gran pare) tratti dai miei libri, che potete trovare su Amazon.

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Il karma è un nostro alleato, noi siamo anche il nostro karma stesso: dobbiamo allearci massimamente con noi, tendendo a riconoscere l’Identità Reale, che è senza karma,

Spesso si sente dire di karma positivo o di karma negativo. Il karma non è però mai negativo a priori. Si pensa che sia negativo anche perché si associa il piacevole al positivo e lo spiacevole al negativo. Il karma è la legge che tramanda significati rettificanti. Noi abbiamo la possibilità di affrontare il karma in due modi essenzialmente. Proponendo il metodo della carota, cioè della consapevolizzazione, oppure subendo il metodo del bastone, che si manifesta perché invece di affrontare e risolvere consapevolmente la questione, la si subisce perché degenerati da ignoranza, paure, avidità e altri elementi che impediscono di vedere, perché non vediamo direttamente, ma elaboriamo influenzati da traumi del passato. Tenere il volante in mano è ben diverso dal viaggiare come ruota di scorta. L’attività è ben altra cosa della reattività: agire è ben altro dal reagire, ma soltanto chi agisce può vedere chi reagisce. Chi reagisce pensa di agire, di essere l’agente, mentre è il subente, anche perché subisce la proiezione, che è ben altra cosa dalla visione. I traumi sono situazioni irrisolte e il karma indica, con le belle o con le brutte, proprio ciò che va risolto. Il karma è un nostro alleato, noi siamo anche il nostro karma stesso: dobbiamo allearci massimamente con noi, tendendo a riconoscere l’Identità Reale, che è senza karma, in modo da illuminare il meglio possibile l’identità immaginata, che essenzialmente è il karma stesso: liberi dall’identità immaginata, perché agenti con la consapevolezza dell’Identità Reale, siamo Libertà, ben altra cosa rispetto al karma, che è coercizione.     

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Essere nulla? L’affermazione di essere il nulla è questione di irresponsabilità, ancora maggiore se tale concetto è associato alla verità, semplicemente perché il nulla non esiste.

Essere il nulla, è il termine che alcuni usano per definire un determinato stato esistenziale-coscienziale. Alcuni tra essi lo associano allo stato di Verità. In questo contesto, affermare di essere il nulla, è una forma di irresponsabilità di tipo spirituale. Non irresponsabilità spirituale, bensì irresponsabilità di tipo spirituale. In quanto percorso responsabilizzante la spiritualità non può essere additata di irresponsabilità: ciò che fa trascendere l’irresponsabilità non può essere questione di irresponsabilità. L’affermazione di essere il nulla è questione di irresponsabilità, ancora maggiore se tale concetto è associato alla verità, semplicemente perché il nulla non esiste. L’ £esistenza del nulla£ sarebbe comunque un’esistenza e un’esistenza non può essere il nulla. Il nulla non esiste, se non come concetto, semplicemente perché esiste eternamente il tutto. Il nulla è l’impossibilità assoluta, così come il tutto è la necessità assoluta. Affermare: sono il nulla, significa pertanto mentire, cioè fuorviare, il che è certamente un comportamento irresponsabile. Certo, quando l’espressione: sono il nulla, deriva direttamente dal massimo grado coscienziale, in cui apparentemente non c’è nulla, favorisce potente umanizzazione, ma rimane la macchia dell’aver espresso un’inesattezza, pertanto una menzogna. Tra l’altro, se il singolo avesse sperimentato il nulla (questa è chiaramente una mera ipotesi concettuale: non possiamo sperimentare ciò che non c’è), non potrebbe nemmeno sapere di averlo sperimentato: per essere nulla dovremmo sperimentare il nulla, perciò non esserci, pertanto sarebbe impossibile affermare di essere il nulla. Affermare di essere nulla significa affermare: non ci sono, o perlomeno non c’ero (nel senso di: in quello stato ero nulla, cioè: quello stato è il nulla).Il concetto: essere il nulla, può favorire l’idea assurda di voler essere nulla, che è un qualcosa di irrealizzabile. Per essere nulla dovremmo divenire nulla, cioè passare da essere qualcosa a essere nulla, che significa essere diventati altro da sé il che è impossibile. Affermare l’esistenza del nulla significa fomentare il nichilismo, che è la ragione basilare dei problemi dell’umanità. Il nichilismo è la via della disumanizzazione, mentre l’umanizzazione è responsabilizzazione. Il nichilismo è l’astrazione suprema, semplicemente perché intendendo possibile che il qualcosa nasca dal nulla e ritorni a essere nulla, afferma la massima contradizione possibile: cioè che il qualcosa è un passaggio del nulla. E una vita basata sull’astrazione non può certamente essere reale: Viva Vita. Se chi durante lo stato, chiamiamolo così: Assoluto, esprime spontaneamente la constatazione: sono il nulla, significa che vuole indicare che l’Assoluto è il nulla. Tra l’altro. se l’Assoluto fosse il nulla non ci sarebbero né questo libro, né chi lo sta leggendo. Come potrebbe esserci manifestazione di ciò che è nulla? Un qualcosa non può derivare dal nulla, anche, soprattutto, perché il nulla non esiste. Chi, scriviamo così, dallo stato Assoluto afferma: sono il nulla, perché non rileva i processi più sottili dello spazio (in processi più sottili dello spazio sono le vibrazioni originali), dovrebbe essere almeno tanto saggio da dedurre: sto constatando perlomeno me che sta constatando che non c’è nulla oltre a me (il che non è comunque una costatazione veritiera). Certo, potremmo dire che l’affermazione: sono nulla, avviene dopo che è terminata la cosiddetta esperienza del nulla (che essendo un’esperienza non può essere il nulla; non si tratta nemmeno dell’esperienza del nulla, perché in quanto inesistente il nulla non può essere sperimentato). Si potrebbe dire: terminata l’esperienza del nulla, il singolo può affermare di essere stato il nulla. Ma se il singolo è stato il nulla, non può essere poi qualcosa, come non poteva esserlo prima di essere nulla. Se veramente avesse fatto l’esperienza del nulla, sarebbe stato comunque qualcosa. Il fatto è che non riconoscendo più i piani più grossolani della totalità può sembrare che sia apparso il nulla; ma come potrebbe apparire ciò che non c’è? I livelli esistenziali più sottili possono sembrare essere il nulla, ma certamente non lo sono. andreapangos.it

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La storia del pastore e delle pecore, è una metafora del rapporto tra il criceto e chi lo ha messo in gabbia.

Per chi vuole essere una persona migliore, la società irresponsabile rappresenta però anche un aiuto, nel senso che è un messaggio molto importante su come non si vuole essere. I conflitti dovrebbero indicarci il bisogno di pace, l’odio dovrebbe stimolarvi a maturare la capacità di amare, l’egoismo dovrebbe aiutarci a volgere sempre più verso l’altruismo, le azioni reattive dovrebbero indicarci il bisogno di azioni consapevoli, il buonismo andrebbe visto come segno che c’è bisogno di Bontà, ben altra cosa dal buonismo.Attenzione, certe modalità della società possono sembrare molto umanizzanti, ma va considerato che se non si supera il mero pensiero riflesso, la vita ombra, se cioè non ci si adopera potentemente per l’umanizzazione, anche le iniziative umanitarie sono essenzialmente modalità circolatorie da criceto, passibili di forte manipolazione e soggette all’inquinamento dell’interesse personale: la storia del pastore e delle pecore, è una metafora del rapporta tra il criceto e chi lo ha messo in gabbia. Non tutti sono bravi a parole, ma a quanto fatti soltanto alcuni sanno il fatto loro. Chi subisce confonde facilmente il subire con fare: l’ombra della caverna sembra la massima luce possibile a chi non è mai uscito dalla prigione dell’irrazionalità scambiata per razionalità Va sempre considerato che: iniziativa umanitaria non è sinonimo di iniziativa umanizzante. Tra l’altro, la prima è in genere collettiva, mentre la seconda è sempre iniziativa individuale, il che non significa che per risonanza non favorisca un’azione collettiva. Anzi, tutto ciò che di bene facciamo è automaticamente dono per l’umanità. Il fatto che l’umanità non sappia cosa farsene oggi, non significa che le nostre buone azioni (azioni umanizzanti) odierne non siano il seme di un fruttare collettivo nell’avvenire, come anche uno stimolo importante per i singoli che voglio essere esseri umani migliori.

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le onde non possono arrestare il mare la discesa fermare il fiume l’ombra annientare la luce non rimane che abbandonarsi a Dio

la discesa fermare il fiume

l’ombra annientare la luce

la discesa fermare il fiume

l’ombra annientare la luce

non rimane che abbandonarsi a Dio

Tratto dalla mia raccolta di poesie: Zero a Zero – non dualità in versi (2019) acquistabile su Amazon.

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Ogni pensiero è un seme, pensando: rinuncio a tutto, favoriamo l’emersione della risposta cosmica: allora non hai bisogno di niente. Invece, abbiamo altroché bisogno di influssi qualitativi. Pensando: rinuncio a tutto, pensiamo cioè implicitamente anche: non ho bisogno di niente. Ciò può favorire l’emersione di forti disagi: fisici, emozionali, mentali, energetici, spirituali, professionali, familiari, sessuali, economici…

L’idea di rinunciare a tutto è un tranello concettuale che può facilmente potentemente ostacolare l’umanizzazione, ma anche, come si dice in genere: per rovinare la propria e altrui vita.

L’idea di rinunciare a tutto può essere anche un sintomo della sincerità della ricerca, nel senso che attraverso la stessa, il ricercatore può esprimere la sua abnegazione. Intesa nel senso più profondo del fenomeno, la sincerità dovrebbe però implicare la verità. Essere sinceri con falsità è una specie di ossimoro.

L’idea che possiamo rinunciare a tutto è autonegante: nega se stessa. Significa che si tratta di falsità. La spiegazione che segue potrebbe sembrare astrazione rispetto alla concretezza che, talvolta, viene espressa con l’idea: rinuncio a tutto. Consideriamo però che tale affermazione può risultare limitante, ostacolante l’umanizzazione, soprattutto quando si tratta di una decisione ferma, espressa con sentimento.  

Non possiamo rinunciare a tutto, perché il pensare: rinuncio a tutto, implica la rinuncia allo stesso pensare in atto: rinuncio a tutto. Implica, inoltre, il rinunciare alle conseguenze prodotte dall’aver affermato, una o più volte: rinuncio a tutto, il che è impossibile, semplicemente perché le conseguenze sono una necessità, a prescindere dalla nostra volontà. Pensare di non raccogliere ciò che si semina significa immaginare di neutralizzare la legge di causa ed effetto. Si tratta un aspetto specifico del delirio di onnipotenza.    

Rinunciare all’idea di rinunciare a tutto significa non rinunciare a tutto, perché affermando ciò non si rinuncia all’idea di rinunciare a tutto, perché il tutto implica anche ogni di idea di rinuncia.

Pensare rinuncio a tutto, significa anche pensare: rinuncio a tutte le intenzioni di rinunciare, quindi anche a eventuali ripensamenti, che porterebbero ad affermare: ho superato l’idea di rinunciare a tutto.

Voler rinunciare a tutto non riflette un bisogno. Semplicemente, perché i bisogni implicano possibilità realizzabili, perlomeno parzialmente, oppure almeno ipoteticamente possibili. Voler rinunciare a tutto è invece un pseudo tendere all’impossibile: è impossibile tendere all’impossibile. Voler rinunciare a tutto vuole dire volere l’impossibile.  

Siccome ogni pensiero-parola è un seme, pensando-affermando: rinuncio a tutto, favoriamo l’emersione della risposta cosmica: allora non hai bisogno di niente. Invece, abbiamo altroché bisogno di influssi qualitativi. Pensando: rinuncio a tutto, pensiamo cioè implicitamente anche: non ho bisogno di niente. Ciò può favorire l’emersione di forti disagi: fisici, emozionali, mentali, energetici, spirituali, professionali, familiari, sessuali, economici…

Pensare: rinuncio a tutto significa negare se stessi, non soltanto il proprio esprimersi. Affermare: rinuncio a tutto, significa anche affermare: rinuncio, d’ora in poi, all’esprimere l’idea di rinunciare a tutto.  

Non possiamo rinunciare a tutto, perché ciò significherebbe rinunciare anche a noi stessi, il che è impossibile.

Considerando, la verità, che in quanto Identità Reale siamo eterni, non possiamo mai rinunciare a noi stessi: ogni negazione dell’esistenza è affermazione della stessa. L’eternità è questione di irrinunciabilità.

Se consideriamo, invece, il corpo fisico come sé reale (identificazione con il corpo fisico: non considerare il corpo fisico come un aspetto del Nostro esprimerci, Nostro in quanto Identità Reale), allora l’idea di rinunciare a tutto comporterebbe anche l’idea di rinunciare al corpo fisico. Si tratterebbe di eutanasia, oppure autoeutanasia, o perlomeno del viatico verso l’eutanasia autoassistita. L’eutanasia mal autoassistita non è peraltro una rarità. Anzi, è un modo di definire anche il suicidio a lungo termine, reso possibile dall’incapacità di vivere veramente, dettata dall’essere solo apparentemente nati. Non nel senso dell’essere consapevoli che, in Realtà, siamo innati, ma nel senso che non si favorisce la fioritura del seme offerto dalla nascita del corpo fisico, pertanto anche sella struttura psichica. La vita vera esige umanizzazione come viatico alla Vita Reale, attraverso la Risurrezione.    

Rinunciare a tutto significa anche rinunciare a Dio, che è proprio il soggetto per cui molti vorrebbero realizzare la missione impossibile di rinunciare a tutto.

Cosa significa voler rinunciare a Dio quando Dio è Tutto? Espresso diversamente: cosa vuole dire: voglio rinunciare a tutto, quando come Dio si intende la Persona Suprema, cioè l’Origine di tutto il resto, cioè Origine del Proprio esprimersi. Intendendo Dio come Persona Suprema, tranne Dio Persona Suprema, tutto è espressione di Dio Persona Suprema.

È bene considerare anche che l’umanizzazione non è questione di esclusione, ma di integrazione. Non è quindi questione di rinunciare veramente a qualcosa, ma di fruire di tutto (incluso Dio e noi stessi) in modo umanizzante, cioè integrante. L’idea di rinunciare può facilmente favorire la repressione, mentre uno dei processi fondamentali dell’umanizzazione è l’emersione. La repressione può portare a eversione interiore, cioè alla distruzione di, almeno parte, di ciò che già abbiamo realizzato positivamente.

Rinunciare a tutto significa anche rinunciare al bene, all’umanizzazione. Anzi, significa anche rinunciare a rinunciare al bene, all’umanizzazione e a tutto. Più precisamente, essendo impossibile rinunciare a tutto:  voler rinunciare a tutto significa voler anche rinunciare al bene, all’umanizzazione. R

Voler rinunciare al voler rinunciare al voler rinunciare…. è il circolo vizioso concettuale, che ben rappresenta il circolo vizioso in cui incappa chi è posseduto dall’idea di voler rinunciare a tutto, perché magari posseduto dall’idea che bisogna rinunciare a tutto, forse perché non consapevole del fatto che rinunciare a tutto è una missione impossibile anche per Dio stesso.

Possiamo forse rinunciare al fatto di essere figli biologici dei nostri genitori biologici?

 Possiamo forse rinunciare all’aria, all’acqua, al cibo? Anche nutrendosi di prana, si tratterebbe pur sempre di cibo.

In quanto entità noi dipendiamo, primariamente da Dio, poi dal nostro ambiente. Il cosmo intero è una catena alimentare.

Voler rinunciare a tutto è un’assurdità. Certo, in generale, chi dice semplicemente:  voglio rinunciare a tutto, non riflette nel modo suddetto. La menzogna però rimane tale, il mentirsi esiste a prescindere dalle “buone” intenzioni, che per essere veramente buone devono basarsi sulla verità. La struttura delle menzogne è molto abile a infiltrarsi nel mondo delle intenzioni solo apparentemente buone.

Rinunciare all’idea di rinunciare a tutto: Oh, che sollievo!

Preferisco fruire in modo direttamente umanizzante di tutto, cioè anche del fruire stesso Profumo di verità.

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Dobbiamo costruire ponti verso luce sempre superiore, soprattutto per riconoscerci come Esseri di Luce Originale abitanti l’Origine, di là della distinzione in Spirito – Natura. Illuminarci meglio per illuminarci-illuminare meglio, anche per meglio vedere, è un aspetto fondamentale dell’umanizzazione.

Evitare forzatamente e una forma di attaccamento. Dover evitare significa essere costretti. La costrizione è antitetica alla liberazione, a meno che non venga vista come opportunità da affrontare per far emergere maggior grado di consapevolezza.

Escludere è una forma di attaccamento. Dover escludere significa subire la necessità di escludere. In quanto struttura, anche, olografica, conteniamo l’informazione di tutto il resto, siamo cioè anche tutto il resto, ovvero anche una replica di tutto il resto. Escludere qualcosa significa escludere parti di se stessi. Escludere significa impedirsi di vedere sempre meglio e senza meglio vedere non possiamo ambire a maggior comprensione. Comprendere significa anche comprendere che comprendiamo tutte le informazioni cosmiche, che siamo, anche, un contenitore individualizzato, pertanto individualizzante, di informazioni riguardanti il cosmo intero.  Non possiamo veramente escludere, ma possiamo essere schiavi dell’ignoranza dettante la convinzione che possiamo escludere.    

La via diretta consiste di integrazione, non disintegrazione. Costruire ponti è ben diverso dall’evitare di costruirli, oppure dal minarli. Certo, costruire ponti per il nocivo è controproducente, ma ignorare il male, oppure volerlo evitare a tutti i costi, lo rafforza: siamo sempre in compagnia della nostra ombra, ovvero dell’ombra che anche siamo.   Bisogna perciò costruire ponti verso luce sempre superiore, soprattutto per riconoscerci come Esseri di Luce Originale abitanti l’Origine, di là della distinzione in Spirito – Natura. Illuminarci meglio per illuminarci-illuminare meglio, anche per meglio vedere, è un aspetto fondamentale dell’umanizzazione.

Non dobbiamo frequentare tutti, anche perché noi possiamo frequentare tutti. In un certo senso possiamo però frequentare tutti. Per arrivare a ciò dobbiamo frequentarci bene, umanizzandoci direttamente, in modo da par emergere lo Stato Originale, caratterizzato da  Onnipresenza, Onniscienza e Beatitudine. Essere Beatitudine significa essere Eccellente Compagnia.   

In quanto identità integrale non escludiamo nulla. I demoni non cessano di esistere nemmeno per l’Illuminato, ma non lo tangono, perché nella Luce Originale non v’è possibilità di ombra, caratteristica per il Cosmo Naturale (Manifesto),  ben diverso dal Cosmo Originale (Immanifesto).  Possiamo anche decidere (anzi: dobbiamo decidere, fermamente!) di non frequentare i demoni. Non è però detto che essi decidano di non frequentare noi. Anzi, elevandosi, si eleva anche il rischio di essere prede prelibati dei demoni più sottili, perfidi, potenti. In verità si tratta della verifica se siamo tentati più dall’inferiore oppure dal superiore. Non esiste male assoluto, ma soltanto Bene Assoluto e  diversi gradi di bene relativo.

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Il lasciarsi andare non è questione di fatalismo, anzi: è uno degli antidoti per neutralizzare il fatalismo. Fatalismo è subire l’inconsapevolezza, più precisamente: subire le conseguenze della mancanza del grado di consapevolezza necessario per affrontare giustamente la situazione

I blocchi, cioè gli ostacoli vanno intesi come insegnanti, non come avversari, oppure, ancora peggio: come nemici.

Gli ostacoli sono anche nostri collaboratori, nel senso che sono indicazioni da intendere come suggerimento a essere migliori collaboratori di se stessi, essendo migliori fautori di umanizzazione.

Gli ostacoli non vanno combattuti. Non vanno nemmeno ignorati, oppure repressi. Lasciar andare non significa ignorare.   

Lasciar andare significa superare, non lasciarsi andare alla deriva. Più precisamente non si tratta di lasciarsi andare alla deriva, ma subire l’ “andare” alla deriva. Andare è virgolettato, perché l’andare implica volere, mentre in questo caso si tratta di subire la direzione. Il lasciar andare porta al porto sicuro di un maggior grado di consapevolezza. Lasciar andare esige il grado minimo di consapevolezza necessario per far emergere stati di consapevolezza superiori, cioè il riconoscersi su piani esistenziali superiori. Ricordiamoci: il pilota automatico del Superiore è ben altra cosa del pilota meccanico dell’inferiore.

Gli ostacoli vanno affrontati consapevolmente, che significa anche superare, oppure: aver superato, la reattività-meccanicità che generalmente inducono. Essere maggiormente consapevoli, più precisamente: essere maggior grado di consapevolezza, significa anche: determinare positivamente invece di subire negativamente. Essere ricettivi significa anche determinare giustamente se stessi, in modo da essere fecondati dall’umanizzante.    

Il lasciarsi andare non è questione di fatalismo, anzi: è uno degli antidoti per neutralizzare il fatalismo. Fatalismo è subire l’inconsapevolezza, più precisamente: subire le conseguenze della mancanza del grado di consapevolezza necessario per affrontare giustamente la situazione. Situazione che, anche se appare come esteriore, è essenzialmente una questione interiore.

L’assenza del necessario grado di consapevolezza è una situazione molto grave. La patologia cronica più diffusa è la mancanza di umanizzazione diretta. Diretta, perché non esiste non umanizzazione, ogni processo fa parte dell’insegnamento: abbiamo perciò umanizzazione diretta e umanizzazione indiretta.   

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